mercoledì 31 luglio 2013

SULL'AMICIZIA

Non mi piace chi scompare. Non mi piacciono quelli che mi dicono "ti sono amico pure se non ti ho chiamato per tre anni".  E non mi piacciono quelli che si nascondono dietro la parola libertà per mascherare il vuoto di sentimenti. L'amicizia è libertà ma essere libero non significa fregarsene.  Non significa che puoi entrare ed uscire dalla mia vita quando ti fa comodo. Che senso ha dire  "ti voglio bene"  se non ci sei stato quando stavo male, se non hai condiviso le mie gioie, se non ho potuto chiamarti per raccontarti  tutto quello che mi è successo in questi anni. Se quando torni non ti riconosco più. Se pensare a te mi fa sentire un vuoto anzichè un pieno. Che senso ha?
Mi piacciono le persone che ci sono sempre e anche quando hanno miliardi di cose da fare, non smettono mai di farti sentire la loro presenza. Con una parola, un messaggio, un gesto. Se la libertà è poter scegliere, io scelgo di esserci per i miei amici. E chiedo lo stesso in cambio. Sì lo ammetto, voglio presenza. Perchè secondo me i sentimenti, quelli veri, non sono costruiti con le parole ma con i fatti. E richiedono costanza. Puoi anche dire "ti voglio bene" ma se non lo dimostri non vale niente. Ed è vero la presenza a volte comporta fatica, non sempre è facile esserci, non sempre è divertente. Gli amici condividono, parlano, litigano, si aiutano, si insultano anche se serve, si incoraggiano, e soprattutto restano, non se ne vanno. Un amico dev' esserci per te, anche quando sarebbe più facile per lui essere altrove. L'amicizia, come tutte le cose migliori della vita, richiede sacrificio, pazienza, dedizione. Se fosse facile avremmo migliaia di amici, ma siamo fortunati se li possiamo contare sulle dita di una mano. Per questo se siete miei amici non venitemi a parlare dell'assenza come un valore. Io voglio presenza. 

 La bambina col cappotto azzurro-cielo
La bambina col cappotto azzurro- cielo@copyright

lunedì 29 luglio 2013

Cos'è che uccide l'amore?

Grandi quantità d'acqua non possono dissetare l'amore, né possono sommergerlo le inondazioni. Allora, cos'è che uccide l'amore? Soltanto la disattenzione. Non vederti quando mi stai davanti. Non pensare a te nelle piccole cose. Non spianarti la strada, non prepararti la tavola. Sceglierti per abitudine e non per desiderio, passare davanti al fioraio senza accorgermene.  Lasciare i piatti da lavare, il letto da rifare, ignorarti al mattino, usarti la notte. Desiderare un'altra persona mentre ti bacio sulla guancia. Dire il tuo nome senza ascoltarlo, dare per scontato che sia mio diritto pronunciarlo.
 
Jeannette Winterson 
da Scritto sul corpo

sabato 27 luglio 2013

JULIET, NAKED - Nick Hornby

We get together with people because they’re the same or because they’re different, and in the end we split with them for exactly the same reasons. 
Stiamo insieme a una persona perché la troviamo uguale a noi o perché ci sembra diversa da noi, ma alla fine ci lasciamo esattamente per lo stesso motivo.

In queste caldissime notti estive, sto leggendo un  romanzo di Nick Hornby, tradotto banalmente in italiano "Tutta un'altra musica", titolo originale, "Juliet, naked" e per non perdermi le ironiche sfumature di Hornby lo sto leggendo in inglese. Juliet, naked è il titolo del disco di maggior successo di Tucker Crowe
un rocker ormai scoppiato, ex-alcolista, impegnato a destreggiarsi fra i numerosi figli seminati per strada e fra le loro varie madri, ormai caduto nel dimenticatoio da vent'anni non fosse che per uno sparuto manipolo di fedelissimi sparsi per il mondo, che si ritrovano in un sito internet per inneggiare al loro idolo. Tucker da quando ha smesso di fare musica, incapace di costruirsi una vita e senza la minima voglia di farlo, si è trascinato da una donna all'altra, donne che si innamoravano di ciò che lui era stato e speravano di essere le muse della sua rinascita ma quando si accorgevano che era tutto inutile puntualmente lo mollavano. E ora l'ennesima moglie lo lascia con l'ennesimo figlio, un'altra figlia ventenne riappare dal passato per comunicargli che sta per diventare nonno...insomma Tucker è costretto a guardarsi dentro e non è un bello spettacolo!
Il più fanatico dei suoi fan virtuali, Duncan, è un personaggio riuscitissimo, pateticamente ironico, in cui molti  quarantenni possono rispecchiarsi. Uomini che restano  ancorati a passioni adolescenziali, che vivono nel passato e non crescono, per poi ritrovarsi a quarantanni con una vita piatta e noiosa in cui non c'è nessuna emozione. Il libro inizia con il viaggio in America di Duncan con la compagna, un pellegrinaggio nei luoghi  della "mitologia"  di Tucker Crowe i, luoghi come i gabinetti di un bar o la casa della ex-moglie (la Juliet del titolo originario).  Beh la scena in cui lui si fa fotografare "in posa" all'urinatorio del bar del suo idolo è esilarante! Ma quella che trovo riuscitissima è la figura di Annie, compagna di Duncan. Quindici anni di convivenza, una vita di coppia piatta senza sesso ne passione, incatenata ad un'esistenza quotidiana che le va stretta, in una cittadina della provincia inglese, col desiderio di avere figli represso per far piacere a lui e nessuna prospettiva di felicità, Annie mi  suscita un moto di istintiva simpatia per la sua intelligenza e per il suo coraggio, che è poi il coraggio di tutte quelle donne che, nonostante tutto, ci provano a cambiare in meglio la loro vita. Credo che molte di noi possano rivedersi in lei, quando dopo aver scoperto il tradimento di Duncan, decide di aver sprecato già troppo tempo della sua vita con l'uomo sbagliato e decide di troncare. E proprio lei, in un colpo di genio dell'autore, incontrerà il vero Tucker Crowe...il finale è aperto a mille opportunità, come la vita di tutti noi che scorre piatta finchè qualcosa di imprevisto accade e ci fa rimettere tutto in discussione....Come accade con tutti i libri di  Hornby, la storia ti aggancia dalla prima pagina  e ti porta fino alla fine senza che tu te ne renda conto, con leggerezza ed ironia, pur affrontando quel che è il quotidiano mondo interiore di tanti di noi. Esiterei col dire che sono dei capolavori: ma parlano della realtà dei tempi nostri,  in modo diretto, semplice, senza la pretesa di essere Tolstoj ma in modo che ognuno possa rivedersi in quella monotona quotidianità che spesso ci inghiotte senza lasciarci via d'uscita ma da cui spesso, riusciamo a fuggire. Un romanzo da portare in ferie per sorridere e riflettere.....

venerdì 26 luglio 2013

DIMMI CHI SEI ....


Ti ascoltavo parlare senza capirti.  E mi rendevo conto che neppure tu capivi me. Ci siamo tanto cercati, voluti,  inseguiti e poi ci siamo ritrovati qui, l'uno di fronte all’altro, chiusi nelle nostre diversità, arroccati sulle nostre posizioni  come in una partita a scacchi. Tu destabilizzi tutto ciò in cui credo, in due giorni spazzi via anni di consapevolezze, mi rimetti in discussione e non importa chi vince o perde, mi piace giocare questa partita con te.
Troppo diversi per comprenderci, ma, in fondo, più simili di quel che vogliamo ammettere. Quale sarà la tua prossima mossa? Come ti risponderò? Stavolta ti fermerai?
Tu parli e mi riempi di discorsi ma alla fine te ne vai sempre...e dei tuoi discorsi cosa me ne faccio quando resto sola la notte? Ho cercato di andare oltre le tue maschere, ma non abbassi mai le difese per farmi entrare dentro di te. A volte mi dico che è meglio non entrarci affatto, perchè ho paura di quel che troverei. E allora cerco di difendermi da te,  nell'unico modo che posso, tenendoti lontano. Litigo con te per avere la scusa di andarmene sbattendo la porta, ma poi non me ne vado mai. So che se lo facessi non tornerei pù indietro. E tu? Tu non sembri vedere oltre te stesso e neppure vedi me ora che ti sto di fronte.  Tu parli, parli, di tutto ma non parli mai di te e di quello che sei, forse perché neppure tu lo sai, chi sei?  E chi sono io lo sai? Tu che dici di saper vedere dentro gli occhi delle persone, cosa vedi dentro i miei? Ogni volta che arrivi avrei mille cose da dirti e quando te ne vai rimango qui con tutte queste cose non dette, a chiedermi se sei stato solo un vento di passaggio....quanto vorrei ora rallentare questo rincorrerci, e sussurrarti parlami, adesso, parlami ....  Dimmi chi sei...


La bambina col cappotto azzurro-cielo
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L'amore e il suo tormento - Frida Kahlo

Nella saliva
nella carta
nell’eclisse.
In tutte le linee
in tutti i colori
in tutti i boccali
nel mio petto
fuori, dentro
nel calamaio – nelle difficoltà a scrivere
nello stupore dei miei occhi
nelle ultime lune del sole
(il sole non ha lune) in tutto.
Dire “in tutto” è stupido e magnifico.
DIEGO nelle mie urine – DIEGO nella mia bocca
nel mio cuore – nella mia follia – nel mio sogno
nella carta assorbente – nella punta della penna
nelle matite – nei paesaggi – nel cibo – nel metallo
nell’immaginazione.
Nelle malattie – nelle rotture – nei suoi pretesti
nei suoi occhi – nella sua bocca
nelle sue menzogne.

Poesia di Frida Kahlo per il marito Diego Rivera

sabato 20 luglio 2013

LA PATENTE NON E' LICENZA DI UCCIDERE

Ai lati delle strade ormai ogni pochi metri ci sono mazzi di fiori legati agli alberi, ai pali della luce, ai guard-rail: tristi segnali di vite spezzate, di gente che è morta sull’asfalto in incidenti d'auto, di moto o pedoni spazzati via sull'asfalto. E' una strage quotidiana, un bollettino di guerra. Chi non ha un amico, un parente, un conoscente morto così?  
300.000 feriti, 20.000 disabili gravi e ogni anno si cancella un intero paese di 5000 abitanti.  
Non sono solo numeri, dietro questa statistica ci sono persone: Beatrice, Alessandro, Roberto, Gianni, Alice, Stefano, Debora, Morena, Michele, Francesco, Daniele.....sarebbe una lista infinita....
Illustrazione: Gabriel Pacheco
Ma il dato più inquietante è che gli incidenti vengono causati per oltre  il 90% dei casi dal consumo smodato di alcolici e stupefacenti prima della guida. Mi chiedo: perché nessuno fa niente per evitare tutto questo?  Se non si può evitarlo almeno punirlo con la dovuta severità e il rispetto che meritano tante vite distrutte. Rispetto e giustizia per queste vite spezzate e per le loro famiglie. Invece chi uccide sulla strada, drogato, ubriaco, dopo pochi giorni torna a casa. In Italia la legge è tale che chiunque si metta al volante, ubriaco o drogato, e ammazzi una o più persone rimane praticamente impunito come se le vite che ha falciato fossero birilli in una sadica partita di bowling.   Statisticamente nel 99% dei casi chi uccide al volante anche se (e non è scontato) viene condannato ad un anno o due con la condizionale non fa neppure un giorno di prigione e anzi dopo pochi mesi gli viene ridata la patente. Come se nulla fosse accaduto. Libero di drogarsi, ubriacarsi, circolare indisturbato sulla strada e uccidere ancora. Chi uccide guidando ubriaco DEVE essere considerato un assassino che agisce con dolo, con consapevolezza, con premeditazione: inutile trovare scuse e giustificazioni, chi si mette al volante ubriaco o drogato sa benissimo le conseguenze che può provocare e quindi accetta consapevolmente il rischio di uccidere. Questa credo sia una delle tante VERGOGNE del nostro Paese che non devono passare in silenzio. La patente non è e non dev' essere licenza di uccidere! BASTA! Facciamo finire questa strage impunita!


La bambina col cappotto azzurro-cielo
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mercoledì 17 luglio 2013

LE PERSONE NON SI CHIEDONO ...

Le persone non si chiedono chi sia l'altro, non gli interessa conoscere di cosa abbia bisogno, ne fare qualcosa per lui. Un gesto d‘affetto.  Tutti parlano e nessuno si ferma ad ascoltare. Le persone usano gli altri come tram per una corsa, qualche fermata e via. Oppure si fanno traghettare tra una situazione e un'altra. Spremono il prossimo come un limone, cercando di ottenere da ciascuno quel che può offrire. Non esistono l‘esclusività di una conversazione, né la condivisione del profondo né la lotta per un affetto. Si cerca di massimizzare le situazioni, come se gli affetti fossero interscambiabili.  Persone sole che cercano di piacere agli altri perché temono la solitudine, perché la solitudine non fa regali. Persone che calpesterebbero chiunque, prima di tutto la loro coscienza, pur di ottenere quel che vogliono quando vogliono. Persone senza dignità che sanno sempre come giustificare il proprio operato prima di tutto davanti a se stessi. Persone che si riempiono la bocca di troppe parole per coprire la nullità della loro essenza. Persone false, egoiste, insapori. Vuote. Il vuoto totale. Chimere di un'illusione che fu e di un sogno che sarà. Il velo delle illusioni è caduto...

martedì 2 luglio 2013

IL BUCO

Illustrazione Claudia Garcia
Stanotte non riesco a dormire. Le 3.15 e fa caldo. Ho spalancato tutte le finestre ma non c’è un alito di vento. Il mare è immobile, immobile il cielo, immobile ogni cosa intorno a me. Sembra una notte in cui nulla debba accadere. Mi guardo allo specchio e vedo qualcosa che non avevo mai notato prima: un enorme buco nel mio petto. Mi avvicino allo specchio per osservarlo meglio. E’ proprio un grosso buco che mi passa da parte a parte, sulla sinistra, all’altezza del cuore. Il primo impulso è chiamare un’ambulanza. Ma poi cosa gli dico? “Presto venite perché ho un buco nel cuore!” Penserebbero ad uno scherzo!E poi mi sembra che tutto funzioni benissimo. Provo a tossire, a prendere due bei respiri, dire trentatré: tutto regolare! Forse sto solo sognando! Sorseggio con apprensione un bicchiere di latte, aspettandomi che chissà magari zampilli come da una fontana attraverso il buco.  Invece riesco pure a bere senza problemi! , prima o poi, se ne accorgerà. Forse sono il primo caso al mondo di donna con un buco al posto del cuore.  Diventerò un fenomeno da baraccone, mi studieranno e faranno esperimenti! Mio Dio non voglio diventare una cavia! E poi …dov’è finito il mio cuore? Da qualche parte dev’essere. Il buco è perfetto come il cerchio di Giotto, sembra fatto con cura, come se qualcuno avesse preso le misure. Ma il cuore dov’è finito? Lo cerco in casa, dappertutto dentro gli armadi e nei cassetti ma non c’è! A chi può interessare portarsi via il mio cuore e lasciarmi un buco così grande che ci passa una mano? Prendo il telefono e chiamo Nico. Gli spiego la situazione e lui non ne è affatto sorpreso. Mi dice che il cuore l’ha preso lui e che pensava me ne fossi accorta. E’ successo mesi fa. Ecco il perché di quel vuoto incolmabile che perseguitava le mie notti. Pensavo fosse amore questo senso di vuoto alla bocca dello stomaco, invece era un vuoto reale, niente affatto romantico!Perché ti sei preso il mio cuore?” Nico dice che gli serviva. Fa sempre comodo avere un cuore di scorta, un cuore che batte d’amore da tirare fuori nei momenti di depressione. L’ha messo nel cassetto e quando si sente solo lo prende e lo accarezza e quasi fosse una lampada magica, il cuore comincia a pulsare. Funziona sempre. A volte se ne dimentica per un po’, quando le cose gli vanno bene ed è preso dai suoi divertimenti. Ma nei momenti di tristezza, quando si sente solo e perso, il cuore è sempre lì, palpitante e traboccante d’amore per lui. Quando lo accarezza, le sue mani sentono il dolce calore di un abbraccio, e una voce gli sussurra le parole di cui ha bisogno. A dire il vero il mio unico problema è come vestirmi domani. Chissà se il buco si vedrà, devo stare attenta ai vestiti scollati, nessuno deve accorgersi che non ho più il cuore. Ma poi ci rifletto, e mi rendo conto che qualcuno prima o poi se ne accorgerà.
“Ma io lo rivoglio! Non posso vivere senza!” gli grido tra le lacrime.
“Neppure io” risponde  “Lo terrò con cura nel cassetto, quando vorrai potrai venire a vederlo”.
Illustrazione: Giedra Purlyté
Riaggancio il telefono e guardo il buco nel mio petto: chissà se riuscirò a vivere senza un cuore…E poi come farò a mettere il bikini quest’estate? Mi precipito a casa sua, non voglio fargliela passare liscia. Lui apre la porta assonnato: “Vuoi indietro il tuo cuore?” “Niente affatto, tienilo pure. Io voglio il tuo!” e con un gesto deciso glielo strappo dal petto. Lui ha un sussulto, ondeggia un attimo, si tasta il petto e ride. Ma com’è leggero questo cuore. Cerco di maneggiarlo con cautela poi guardo meglio, si apre e dentro … è vuoto!
Un inutile guscio vuoto! Come ho fatto a non accorgermene in tutti questi anni?
“E tu, tu come hai fatto a vivere senza un cuore?” gli chiedo.
“Ho vissuto di rendita. C’è sempre qualcuna disposta a donarti il suo…o me lo prendo, come con te.”
Mi chiude la porta in faccia e non mi resta altro che tornamene a casa con quell’inutile scatola di latta tra le mani.
La mattina dopo il buco non c’è più.  Il cuore di latta ci si è incastrato perfettamente e sta pulsando e battendo così forte che sembra scoppiarmi in petto. Mi guardo allo specchio: nessun segno, è perfetto anzi meglio di prima! In fondo ho ancora tanto amore in me da riempire altri dieci cuori di latta.

  
La bambina col cappotto azzurro-cielo
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